Il nostro cervello è programmato per trovarsi molto più facilmente a proprio agio con la “stabilità” e con la coerenza, sia dei propri processi cognitivi, emozionali, eccetera, che del mondo circostante. Quindi, l’incertezza può costituire una “minaccia” o una destabilizzazione per la psiche. Anatomicamente e fisiologicamente, man mano che l’incertezza aumenta, nel cervello si attiva l’amigdala (risposta alla minaccia) e diminuisce l’attività dello striato ventrale (risposta di ricompensa). Questa risulta essere una condizione di possibile disagio e malessere. 

Di conseguenza, la ricerca di certezze può portarci a diventare rigidi o “intransigenti”, ad assumere una posizione e a tenerla anche se arrivano prove che confutano le nostre credenze. In psicologia, questo atteggiamento viene denominato “chiusura cognitiva”, ma secondo alcuni studi, gli individui meno sensibili al bisogno di chiusura cognitiva riescono a risolvere i problemi meglio della loro controparte. 

Facendo una riflessione più ampia, potremmo notare come non ci sia la sicurezza su niente o comunque su pochissime cose. Tuttavia nella società occidentale viene promossa costantemente l’idea che sia possibile tenere tutto sotto controllo e che occorra cercare delle soluzioni precise, rapide ed efficaci ad ogni cosa.

Non viene coltivato un attributo decisivo utile per l’adattamento: la capacità di tollerare l’incertezza. Questa attitudine può essere definita come la capacità di venire a patti con l’assenza di certezze e di soluzioni immediate o semplici.

Nonostante possa esserci la pretesa illusoria di risolvere tutto e di trovare una risposta, la verità è che è praticamente impossibile. Talvolta le risposte e le soluzioni arrivano solo con il tempo,  altre volte semplicemente sono impossibili da trovare oppure la soluzione è al di fuori delle nostre personali possibilità. L’umanità non può conoscere o saper fare tutto, inoltre ciò che ignoriamo supera ampiamente ciò che conosciamo. È necessario comprenderlo e acquisire ciò come un dato di fatto ineludibile.

Nella pratica, però, le cose tendono a funzionare direttamente. Sono molti gli individui a cui risulta davvero impossibile (o quasi) tollerare l’incertezza. Queste persone vengono invase dall’inquietudine e persino dall’irritazione quando si sentono prive dei solidi e robusti pilastri delle loro certezze a cui non possono più appoggiarsi.

Come detto, la mancanza di tolleranza per l’incertezza provoca “chiusura cognitiva”. Questo concetto può essere anche comunemente chiamato “l’ultima parola”. Infatti, alcune persone hanno bisogno di definire e chiarire le cose velocemente e una volta per tutte, hanno la necessità di un “sì” o di un “no”, di vedere le cose con colori ben definiti (ad es. una cosa è bianca o è nera). Questo atteggiamento le induce generalmente a provare un forte stress quando ciò non avviene.

L’atteggiamento di “chiusura cognitiva” indica, appunto, l’urgenza di avere una certezza: ad esempio, “mi vuoi o non mi vuoi?”, “il mio pranzo ti piace o no?”. Questi soggetti desiderano come risposta “l’assoluto”, qualcosa di non interpretabile, positivo o negativo che sia. È facilmente intuibile come questi individui facciano fatica a comprendere che la risposta più realistica potrebbe essere “sì e  no”, oppure “non lo so”.

Di conseguenza, per chi approccia le cose con questa prospettiva, paradossi ed ambiguità risultano essere inaccettabili. Non li percepiscono come una realtà che esiste e può verificarsi, ma come una bugia, un inganno o un meccanismo per sotterrare la verità. La brutta notizia per i “cercatori di certezze” è che potremmo affermare, quasi con ragionevole sicurezza, che nell’essere umano è ambiguo, o impossibile da definire perfettamente, praticamente tutto.

Possiamo affermare che non tollerare l’incertezza spesso è il risultato di un meccanismo di semplificazione della realtà, dove le ipotesi rispetto a quello che succede sono molto ridotte, anzi spesso biunivoche: o è una cosa o è l’esatto opposto. Difficilmente vengono fatte supposizioni o congetture per poi formulare nuove ipotesi o, semplicemente, accettare che non è possibile comprendere, fare o risolvere qualcosa, almeno in quel momento e con quelle condizioni (personali e/o ambientali). Ad esempio, non c’è la capacità di concepire che una stessa circostanza o uno stato di fatto possano essere il risultato di molti fattori diversi. Se una persona non ha interesse nella lettura, ciò, forse, non accade solo perché è poco intelligente o con scarsa cultura, magari all’interno della sua soggettività potrebbero esserci molteplici ragioni  per le quali si comporta in quel modo (scarsa disponibilità di tempo, denaro, opportunità, ecc.).

La scarsa attitudine nel tollerare l’incertezza può includere, in alcuni soggetti, anche la mancata capacità di empatizzare con gli altri, cioè di condividerne i punti di vista, le emozioni e le esperienze. In pratica, il mondo viene visto solo nei propri termini, vale a dire, la persona cognitivamente chiusa vede, sente e interpreta il mondo solo in base alla propria soggettività che risulta essere l’unico e “sicuro” filtro per relazionarsi con le persone e con l’ambiente. Questo atteggiamento rende complicato e difficile accettare ed accogliere le differenze, dato che a questi individui sembra che “ciò che è corretto” debba esprimersi come un consenso chiaro, unico ed immodificabile. Queste persone hanno anche la percezione (o la radicata credenza) che affinché una coppia, una famiglia, un gruppo, una comunità, un’istituzione funzioni, senza possibilità di interpretazioni, dubbi o cambi di punto di vista.

Di conseguenza, la manifestazione dell’atteggiamento opposto a quello appena descritto, cioè la capacità di tollerare l’incertezza, si rivela come l’abilità di accettare l’inesistenza di una risposta assolutamente certa o concreta. Generalmente, in coloro che posseggono questo attributo non compare l’angoscia né l’inquietudine (o almeno non sono estremamente rilevanti) quando la risposta non viene data all’istante o non è chiara e decisa come ci si aspetterebbe. Questi soggetti, semplicemente, anche se forse non sempre facilmente, accettano questo dato di fatto e provano a proseguire per la loro strada basandosi sugli elementi a loro disposizione, consapevoli che lo stato delle cose potrebbe anche mutare nel tempo a causa di fattori più o meno dipendenti dalla loro volontà. Questi soggetti si focalizzano sulla risoluzione di quello che conoscono o che riescono a comprendere, facendo attenzione ai nuovi elementi che possono emergere utili segnali per aiutare la realtà, che può essere stabile o in continuo divenire.

Un’altra delle manifestazioni proprie di chi ha tra le qualità personali la capacità di “tollerare” incoerenze, dubbi o frustrazioni rispetto al mondo è quella di considerare e analizzare scrupolosamente gli eventi e le situazioni. Queste persone non si limitano “all’apparenza” ma tendono ad approfondire e provare a comprendere ciò che hanno davanti (persone, fatti, situazioni) cercando di tenere in considerazione anche punti di vista diversi dal proprio. In virtù di ciò, magari arrivano a scoprire che le cose possono essere più complicate di quanto sembrino e che è difficile ottenere delle risposte sempre limpide o delle certezze granitiche o definitive.

Confermando quanto detto fino a qui sul fatto che non esiste niente di certo, paradossalmente, le persone con una minore tolleranza per l’incertezza (quindi con maggiore “chiusura cognitiva”) si mostrano più sicure nei loro giudizi e nelle loro decisioni (anche se questo non implica che decisioni e giudizi siano per forza corretti). Al contrario, chi ha sviluppato una notevole tolleranza impiega molto più tempo e indugia di più prima di agire (proprio perché ha la consapevolezza della variabilità delle cose e delle molte sfaccettature del mondo), e inoltre sopporta meglio il conflitto psichico (e non solo), la differenza e tende ad avere dei rapporti interpersonali di migliore qualità.

Concludendo, può essere interessante citare la chiara e rivelatrice frase del filosofo e matematico gallese Bertrand Russell, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo:

“In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato”.