Il modo migliore per piacere ad una persona non è farle un favore ma convincerla a farti un favore. Questo principio si chiama “Effetto di Ben Franklin” e si basa sul fatto che fare un favore ad una persona implica che questa persona ci piaccia.
Perché a questo curioso fenomeno è stato dato questo nome? La spiegazione nasce da una storia piuttosto curiosa.
Benjamin Franklin è stato un politico, scienziato e inventore statunitense vissuto nel XVIII secolo. Egli è stato uno degli uomini più importanti che hanno contribuito alla fondazione degli Stati Uniti e tra le sue invenzioni ricordiamo il parafulmine, le pinne (già teorizzate e disegnate da Leonardo da Vinci), il contachilometri e le lenti bifocali (dato che non vedeva né da vicino, né da lontano, trovò la soluzione per non cambiare continuamente gli occhiali).
Franklin, all’interno dell’Assemblea Legislativa degli Stati Uniti, aveva un ferreo oppositore, un avversario formidabile che non aveva alcun problema nel mostrare apertamente la sua opposizione al programma politico dello scienziato, sia in pubblico che in privato.
Questa singolare antipatia non passava ovviamente inosservata a Franklin, che ne era preoccupato. Egli così provò a risolvere la questione in modo creativo. Decise di guadagnarsi la stima del suo critico avversario e per farlo decise di chiedergli un favore.
Sapendo di essere di fronte ad un uomo dal livello culturale elevato, decise di chiedergli un testo eccezionalmente raro della sua biblioteca privata (senza però avere un reale interesse nei confronti di quell’opera).
Di fronte a tale richiesta, il rivale si sentì particolarmente lusingato e onorato, e accontentò immediatamente Franklin. Fu così che l’inventore si guadagnò la stima dell’antagonista, gettando le basi per un avvicinamento prima ed un’amicizia poi, rapporto che durò tutta la vita.
Sebbene “l’Effetto Ben Franklin” derivi da questo singolare episodio, la verità è che il meccanismo cela profondi fondamenti psicologici. Infatti, dietro al bisogno dell’essere umano di compiacere gli altri, si nasconde, in realtà, una dissonanza cognitiva (vedremo più avanti di cosa si tratta). Per meglio dire, questa necessità è motivata dal desiderio di evitare che si verifichi tale dissonanza.
In altre parole, con la sua richiesta Franklin volle generare nell’avversario una contraddizione psichica: nonostante fossero avversari politici, quell’uomo si ritrovò a fargli un favore. La situazione non era in sé incompatibile, tuttavia è probabile che l’avversario di Franklin la percepisse come una incongruenza: un sentimento di antipatia politica da un lato, il tentativo di agire in maniera cortese ed empatica dall’altro.
La percezione di una antinomia di questo tipo genera di solito un senso di, più o meno, sottile “malessere” psicologico, il che porta la persona a riconsiderare e magari modificare il suo pensiero. Questo è proprio quanto successe nell’episodio narrato, nel quale l’azione di prestare il libro assunse per il rivale di Franklin un valore maggiore in termini di desiderabilità sociale e personale rispetto ad una diversa visione delle cose o ad un’antipatia basata solo su ragioni politiche.
Per giustificare la sua generosità, dunque, quel tenace avversario dovette cambiare l’opinione che aveva di Franklin e delle sue idee.
Sii lento nello scegliere un amico, più lento a cambiarlo.
– Benjamin Franklin-
Volendo analizzare il meccanismo innescato da Franklin, possiamo constatare come il cervello generalmente tenti (e ne abbia la necessità) di giustificare le nostre azioni, e lo fa cercando di non danneggiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, mantenendo uno stato di equilibrio e coerenza.
Per questo accettiamo che appaia la dissonanza cognitiva per poi adottare le misure necessarie a annullarla (o almeno a ridurla). Per esempio, di fronte ad un conflitto bellico, che è unanimemente considerato sbagliato, ma a cui una nazione, e quindi un popolo, si trova a partecipare ugualmente (anche solo con il silenzio e l’immobilità), la nostra mente va alla ricerca di motivi che giustifichino la scelta. Una di queste può essere la difesa della libertà, il patriottismo o persino la religione.
D’altra parte, i motivi o le scuse che tiriamo fuori per giustificare la nostra posizione, anche in situazioni meno complesse di una guerra, ma allo stesso tempo influenti sulla nostra quotidianità, hanno un impatto molto forte e restano impresse nella nostra mente più facilmente.
Come si può vedere, la dissonanza cognitiva fa parte della nostra vita, sia sul piano personale, che su quello relazionale e professionale. Infatti, molto spesso ci troviamo a “giustificare” azioni che compiamo con le quali non saremmo abitualmente concordi.
Può essere capitato ad ognuno di trovarsi a doversi relazionare, lavorare o addirittura aiutare persone con le quali non ci si trovava d’accordo o addirittura si provava una antipatia o con le quali c’era una palese mancanza di sintonia. Qualunque sia stata la circostanza, se è successo di fare, pensare o provare qualcosa di incongruente o inaspettato rispetto a quelle persone, la mente avrà, probabilmente, innescato alcuni meccanismi tesi a giustificare e spiegare quel certo atteggiamento. Insomma, la mente si dà una spiegazione plausibile per non “ammettere” a se stessa di non esser stata coerente (qualità di cui la nostra psiche ha un enorme necessità) con quello che faceva, pensava o provava fino a poco prima nei confronti di una persona o di una situazione.
Proprio per questo, dopo aver fatto un favore ad una persona, a volte si cambia opinione su di lei cominciando ad apprezzarla di più, ma se ci pensiamo bene spesso la persona è la stessa che poco tempo prima ci era indifferente o addirittura antipatica.
“Presta denaro al tuo nemico e te lo farai amico; prestalo al tuo amico e lo perderai”
-Benjamin Franklin-
È quindi curioso il modo in cui la nostra mente funziona, soprattutto nel suo tentativo di salvaguardare l’immagine che abbiamo di noi stessi e la coerenza tra i nostri pensieri e le nostre azioni, arrivando a modificare le nostre stesse opinioni.
Questo meccanismo, però, non si esaurisce in questa “semplice” connessione (cioè il progressivo mutamento di prospettiva verso qualcuno), ma, una volta generata dalla mente la giustificazione o la nuova opinione, diventiamo più sensibili a qualsiasi tipo di informazione che la sostenga, e più scettici rispetto a qualsiasi informazione vi si allontani (sempre per il profondo bisogno di coerenza che “guida” la nostra psiche).
Questo meccanismo psicologico è stato studiato da Jon Jecker e David Landyy in un interessante studio del 1969 e proprio da loro prende il nome, già citato, di “Effetto Ben Franklin”. In questo esperimento i soggetti partecipanti a cui il ricercatore aveva chiesto un favore personale manifestarono maggiore apprezzamento nei suoi confronti di altri soggetti a cui non era stato chiesto alcun favore.
Come già esposto, sintetizzando il pensiero di Franklin, potremmo affermare che: “colui che ti ha fatto un favore una volta sarà più disposto a fartene un altro, rispetto a colui che ne ha invece ricevuto uno da te”.
Approfondendo maggiormente, si può anche dedurre da questa affermazione che, se si vuole chiedere un favore importante ad una persona è meglio chiedergliene prima uno più piccolo.
Concetti importanti per il verificarsi dell’effetto Ben Franklin sono impegno, simpatia e coerenza, fattori che devono essere presenti nel soggetto a cui si richieda una modificazione del proprio atteggiamento, del rapporto emotivo o del punto di vista nei nostri confronti.
Questo meccanismo si basa su tre concetti fondamentali:
– Yes-set (costruzione di un campo affermativo): se fai in modo che una persona sia d’accordo con te su una questione o su un’idea anche davvero banale, aumenti la probabilità che accetti pure l’idea successiva. In questo principio rientra ugualmente, in parte, l’aspetto della “coerenza” che vedremo nel terzo punto, quello relativo alla dissonanza cognitiva;
– Percezione di “fragilità” altrui: quando percepiamo le persone come bisognose e deboli siamo maggiormente disposti a dargli una mano. Questo, forse, anche perché ci sentiamo meno “minacciati” da loro, dalle loro opinioni, dal loro comportamento e da quello che potrebbero “svelarci” di noi e che magari non vogliamo conoscere o ammettere;
– Dissonanza cognitiva: noi tendiamo a modificare i nostri comportamenti e le nostre attitudini per risolvere dei conflitti interni legati soprattutto all’immagine di noi stessi. In pratica, se chiediamo un favore ad una persona alla quale, come detto nel primo punto, abbiamo già chiesto un favore più piccolo, essa tenderà, vedendosi come qualcuno disposto ad aiutarci e venirci incontro, ad acconsentire più facilmente alla nostra richiesta. Questo anche perché, al fine di annullare il disagio interiore, dovuto al dubbio se acconsentire o meno alla nostra istanza (magari anche importante), la persona, già incanalata in una certa direzione dall’esaudimento di piccoli precedenti favori, tenderà a continuare nel suo atteggiamento, mantenendo quella sensazione di coerenza e di gratificazione che ricaverà dall’aiutarci e che gli permetterà di ripristinare una sensazione di benessere ed equilibrio psichico, precedentemente “destabilizzato” dall’incertezza e dall’impegno necessario ad esaudire la nostra domanda.
Per quanto possa apparire controintuitivo, l’effetto si spiega con il fatto che se qualcuno vi fa un favore spontaneamente, tenderà a razionalizzare il suo gesto dicendo a se stesso che dovete valere lo sforzo fatto e deciderà, di conseguenza, che dovete piacergli. In questo modo, un sentimento di avversione può essere trasformato in uno favorevole in maniera estremamente semplice.
Quindi, fidandovi di Benjamin Franklin, uomo intelligente e geniale, oltre che conoscitore dell’animo umano, provate a verificare quest’interessante meccanismo mentale. Se volete avere tre settimane di ferie dal vostro capo, iniziate prima chiedendogli qualche volta una mezza giornata libera, oppure se volete farvi prestare la macchina nuova da vostro fratello, provate prima a chiedergli di usare la sua bicicletta o il suo cellulare. Ma soprattutto se siete innamorati di qualcuno e non sapete come far ricambiare il vostro sentimento, iniziate pian piano magari trascorrendo brevi momenti insieme, per poi passare a condividere emozioni o esperienze, cercando di arrivare progressivamente a far percepire come naturale una sintonia affettiva sempre più intensa. In quest’ultimo caso l’utilizzo di questa “strategia” non è tanto finalizzata all’ottenere qualcosa in modo calcolato, ma è probabilmente una modalità delicata e attenta ai sentimenti dell’altro (ma anche ai propri) che può permettere di far scoprire all’altra persona come siamo e quello che abbiamo da dare e consentirà di costruire quell’intimità emotiva che è la base per la costruzione di un solido rapporto d’amore, nel quale servono, come detto sopra, le medesime caratteristiche per il verificarsi dell’effetto Ben Franklin: simpatia (cioè affinità e intimità emotiva), impegno (nella relazione) e coerenza (nell’essere se stessi e nel dare e nel ricevere equamente all’interno del rapporto).
Dott. Filippo Toccafondi